giovedì 19 gennaio 2012

I palazzi osceni

Guardo i palazzi osceni che stanno sorgendo davanti al mio sguardo che fino a pochi giorni fa poteva ambire all’orizzonte marino, all’infinito. Una delle immagini fantastiche più frequenti è la loro implosione notturna sostituiti da una collinetta-giardino. Non è una scheggia di pensiero, è un pensiero strutturato che ritorna ossessivamente. È un autoinganno della mente, la difesa neurobiologia da un dolore d’origine estetica: la scomparsa notturna dei palazzacci che hanno annullato lo spazio del mio immaginario, violato la mia anima.
Cerco di trovare una ragione, non ne vedo una, c’è in loro una ricerca scientifica del più volgare possibile, il volgare che ti riguarda direttamente e che non puoi fare a meno di vedere, è una condanna a vita se resti a vita in questo posto.
Non c’è un motivo che possa giustificare la loro esistenza, così come poteva accadere negli anni ’60 e ’70, quando il palazzo verticale era evocativo di sentimento verticale, di emancipazione dalla casa terranea cui si associava povertà, umidità, assenza di luce, una condizione sociale marginale. Quella verticalità brutta col senno del poi, non era brutta agli occhi di coloro che non avevano l’acqua in casa, il bagno era in una dependance fuori e l’orinale sotto il letto. Un unico orinale, per cui si doveva chiamare la mamma per fare pipì giacché quell’ orinale era da lei detenuto. E chi se ne fregava se sorgevano strade e parcheggi asfaltati nell’angusto spazio tra una casa e l’altra e i cortili condominiali erano d’asfalto senza un albero: meglio! Gli alberi sapevano di campagna, quindi di fatica, di terra, di braccianti, di lavoro socialmente marginale quando la vera aspirazione degli operai e dei piccoli borghesi era il posto in banca. Meglio l’asfalto con la sua carica di modernità ed emancipazione. Quella degli anni ‘60 e ‘70 era brutta ma era la prima casa o al più la casa dei figli; realizzava uno status symbol di emancipazione autentica di quegli anni.
Ma adesso, se metti insieme il volgare architettonico come non si era mai visto (il nulla dietro la forma, non c’è un residuo di pensiero progettuale degno di questo nome) e il venir meno dell’esigenza di emancipazione simbolica e pratica dalla povertà pre e post bellica, realizzi violenza allo stato puro. Se davanti ad un paesaggio cui per decenni ti eri abituato realizzando riferimenti e percorsi visivi emozionali e fonti di equilibrio interiore, ti realizzano enormi, informi casermoni/barriera senza uno straccio di dignità architettonica, adesso, nel 2011, hai realizzato l’offesa più infame che potessi realizzare ad una comunità nel suo insieme e nei singoli individui che ne piangeranno quotidianamente le conseguenze.

L’anima dei luoghi
I luoghi hanno l’anima. Sono anche spazi dello spirito, sono riposo e proiezioni della nostra anima e su di essi costruiamo architetture fantastiche. Sono il volare dei pensieri. I luoghi urbani sono equilibrio, stratificazione dignitosa di storia, non sono la composizione di elementi a cui puoi togliere o mettere a piacimento le cose senza provocare sradicamento psicoemozionale dagli stessi, rifiuto. Non puoi accostare alle case terranee esistenti elementi squadri, metaforicamente e fisicamente informi e senza dignità architettonica, molto, troppo più alti, perché comunque queste piccole case in muratura sono testimoni di un passato rurale e povero si, ma dignitoso, di quella dignità sconosciuta a chi concepisce tumori architettonici di questo tipo, frutto di una mente senza neanche lo strascico, il residuo, di un pensiero etico, proiettata al denaro per il denaro. E’ La qualità dell’ambiente che fa anche qualità della vita. Non è sufficiente ma è necessaria; ti condiziona gli umori, il senso dell’equilibrio, iI rifugio in cui ricaricare le batterie del corpo, la relazione con gli abitanti di una comunità con cui condividi spazi abitativi, dai più piccoli ai più grandi. “Le città del mondo sono sempre più brutte se hanno edifici che tolgono la vista e tarpano i pensieri” diceva Vittorini.
Come si può agire così quando si tratta di interventi edilizi che cambiano radicalmente un luogo?

La periferia nord paradigma della città
Il luogo di cui parlo è S. Cosmo e la periferia settentrionale di Acireale. Già negli anni ’80 il nuovo quartiere popolare aveva sconvolto socialmente e architettonicamente i luoghi con un numero inusitato di palazzi e vani (1500 circa) abitati dalle fascia più debole e socialmente marginale della nostra società, che ha ovviamente determinato la nascita del tipico quartiere ghetto in cui si realizzano le note economie di scala nei processi di emulazione dei peggiori comportamenti sociali dei singoli.

Provo a sintetizzare perché l’area di San Cosmo e tutta la periferia nord di Acireale è paradigma di una città e della sua amministrazione, che rispecchia l’intima natura culturale e psicologica dei suoi amministratori, ma, ovviamente, anche di una parte significativa dei suoi abitanti:
1. I palazzi di cui ho prima parlato sono orrendi edifici in costruzione che si interpongono tra il quartiere di edilizia a cooperative di via Sutera (quartiere dignitoso degli anni ’80) e S. Cosmo, in gran parte sviluppati lungo la Via Villalba. Affido alle mie precedenti considerazioni emotive la comprensione autentica di quello che rappresentano questi edifici per chiunque sia dotato di minima sensibilità.
2. Lo spazio tra i nuovi uffici tecnici comunali in quello che nacque come un pensionato, tra il quartiere popolare e i palazzi volgari senza anima in argomento, è una piazzale che è stato ricoperto da grana d’asfalto (ripeto grana d’asfalto ! Dunque “la qualità adeguata al quartiere popolare…” ) su cui sono disordinatamente piantati tristissimi alberi (12 in totale in uno spazio di mezzo ettaro). Sul lato meridionale del piazzale, di fronte all’ingresso dei nuovi uffici tecnici comunali, è stato impiantato uno dei tantissimi carrozzoni zingareschi bar/panineria nati a decine in città negli ultimi 10 anni, con il necessario corredo di plasticoni bianchi e tendaggi in plastica, che completa degnamente lo squallore oltre che l’appropriazione indebita dei luoghi.
3. Fino ad alcuni anni fa, a bordare la strada per duecento metri circa prima della chiesetta di San Cosmo era una filare secolare di cipressi. Insieme alla chiesetta, era il simbolo identificativo del nucleo abitato di San Cosmo le cui origini si perdono nell’antichità, come testimoniano le numerose sepolture funebri scoperte tra San Cosmo e Santa Maria degli Ammalati. Nel mese di luglio 2006 ne furono tagliati 12 di questi cipressi senza un motivo plausibile, che non esiste mai, ma a maggior ragione in quel caso, poiché fu la balorda esigenza di approvvigionamento di legna da ardere in un terreno apparentemente abbandonato. Forse fu addirittura un furto perpetrato approfittando dello stato di abbandono in cui versava e versa il terreno. Lo scrivente lo denunciò per iscritto al Comune e ai mezzi di comunicazione locale ma non successe niente. Niente!! Il Sindaco e l’Ufficio Tecnico e urbanistico furono messi al corrente del taglio degli alberi durante i lavori in corso che non furono bloccati. “Tutto questo rumore per 12 cipressi, in area privata!?” avranno pensato, che la dice lunga sulla loro sensibilità. Un abitante della strada mi disse “megghiu, faceunu umbra a mo casa!”
4. L’istituto comprensivo Vigo Fuccio di via Monetario Floristella, che comprende le classi dalla materna alla 3° media, non possiede un mq di verde; neanche un albero! Un albero! Hanno realizzato una scuola senza un albero. La speranza era un fazzoletto di terra adiacente e a sud della scuola. Uno spazio residuo che avrebbe dovuto costituire il piccolo parco a verde e la zona ludica, ginnica e ricreativa del plesso. Ebbene, questo luogo è stato edificato con un mostruoso palazzo che impedisce la spettacolare visione dell’Etna quando si proviene dalla via Cervo, prima d’imboccare la via Monetario Floristella e impedirà per sempre una spazio sfogo per la scuola. Il tutto per la miserabile bramosia di ricchezza di un singolo che manda a puttane l’interesse collettivo senza un’autentica azione oppositiva da parte dell’Amministrazione Comunale e dei cittadini.


Credo che il paradigma San Cosmo-Via Sutera-Via Villalba qui esemplificato (non vado oltre ma l’elenco potrebbe, ovviamente, essere molto lungo), proprio perché paradigma, sia sufficiente a capire come viene amministrata questa città. Come viene percepito e considerato il paesaggio urbano e agricolo in tutte le sue manifestazioni.

L’estetica e il senso estetico bussola del pensare e dell’agire
Io credo che sia innanzitutto un problema estetico: la volgarità sotto tutte le forme è una problema estetico, ferisce il senso estetico di chi ce l’ha. Se non si possiede senso estetico manca un fondamentale, irrinunciabile, strumento di analisi della spazio in cui si vive e quindi d’azione politica amministrativa, per chi riveste cariche istituzionali. Semplicemente non essendo dotati di mezzi d’analisi, non ci si accorge della volgarità di cui si può essere autori diretti o indiretti.
Mi pare opportuno chiarire che il contrario di bello per me non è brutto ma è “volgare”; è una semplificazione, contestabile, ma che ha la sua ragione d’essere da molti punti di vista. Un uomo non sceglie di essere esteticamente brutto o bello. Ma si è volgari perché lo si sceglie direttamente o indirettamente. Attivamente, ma anche per omissioni. Volgare non è solo un problema comportamentale; può essere volgare il pensiero e l’oggettivazione dei suoi effetti, come lo sono anche gli edifici osceni che umiliano un contesto sociale. È l’assenza di alberi, di un parco, che avrebbero potuto addolcire esteticamente e funzionalmente un quartiere popolare riducendone l’aridità estetica ma anche un po’ di rabbia ed emarginazione sociale (“La bellezza salverà il mondo” – recitava Dostoevskij). Volgare è consentire, o non impedire con tutti i mezzi, a un privato di realizzare una speculazione edilizia laddove dovevano nascere spazi verdi e ludici necessari, vitali, ai bambini di una scuola già concepita senza verde. Volgare è annullare di colpo una spettacolare visione del Vulcano dal cuore della città o dai suoi margini, quella visione che ti apre il cuore, che ti mette di buon umore, che ti una scossa di benessere ogni volta che la realizzi ma anche se non ne prendi coscienza. Volgare è tagliare, o non impedirlo, un filare di cipressi che oltre che patrimonio verde avevano con la loro storicizzazione identificato un luogo, caratterizzandolo profondamente (“accarezzavo il filare di cipressi con lo sguardo mentre passavo”) e nel migliore dei modi. Volgare è consentire ai gestori concessionari dei due chioschetti liberty della villa comunale di vendere osceni oggetti e pupazzi di plastica cinese ed esporli a terra fino a notevole distanza dal chiosco in modo da accogliere “degnamente” il visitatore in uno dei luoghi più belli (“la balconata sullo Jonio”) e rappresentargli lo “spessore culturale” della città. Volgare è alzarsi la mattina per andare ad amministrare una città e non fare niente perché insieme alla gestione delle emergenze non si semini per darle futuro, per preservare i luoghi e le possibilità di benessere e trasmetterli alle future generazioni con decoro e dignità. Volgare è non rendersi conto dei propri limiti, eppure cimentarsi senza i necessari mezzi culturali, di sensibilità, di conoscenza e di amore in ruoli che hanno ricadute vitali per il benessere della collettività. O per la sua disperazione e alienazione.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se c’e n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui; cercare e saper riconoscere , chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio” (Marco Polo e I. Calvino - citati in Periferie umane nelle città frantumate - Raffaele Rauty – Torino 6° assemblea tematica della Caritas).

Giuseppe Filetti



martedì 24 maggio 2011

"Il racconto dell'acqua" Sistemi storici di fruizione delle risorse idriche nel territorio Jonico Etneo - La qualità delle acque del versante orientale dell'Etna e il loro potenziale utilizzo ai fini potabili e commerciali


Giornate di studio 13-14 maggio 2011
Via Calderai ex Pescheria - Giarre (CT)
"La Qualità delle Acque del Versante Orientale dell'Etna e il loro potenziale utilizzo ai fini potabili e commerciali” è il tema trattato dallo scrivente nell’ambito della due giorni di studio sulle acque tenutosi a Giarre (CT) nei giorni 13 e 14 Maggio 2011.
Si ripropone di seguito una sintesi significativa dell'intervento.
La qualità delle Acque dell'Etna è elevata. In genere rispettosa dei parametri chimici, fisici e microbiologici previsti dalla normativa di riferimento, ossia il D.lgs. n. 31 del 02/02/2001. Questa realtà è diffusa, nel senso che quasi per intero, laddove la falda idrica è a oltre i 70 m dal piano campagna, l’Etna possiede acque che senza alcun pretrattamento depurativo possono essere conferite in acquedotto. Non è facile né frequente ritrovare questa realtà. Essa si realizza in un’area densamente urbanizzata, sprovvista in genere di fognature dinamiche per il trattamento adeguato degli scarichi prima del loro smaltimento che normalmente avviene nel suolo. Immaginate che non esistono né fognature né depuratori eppure le acque sotterranee mantengono la loro qualità. Perché?
Prima di tutto per la intrinseca natura del sottosuolo etneo, costituito da terreni che esprimono un altissimo potere autodepurante per processi di filtrazione meccanica o di adsorbimento legati alla granulometria e, conseguentemente, alla porosità dei terreni. Inoltre la natura dei terreni determina fenomeni di trasformare delle sostanze inquinanti per processi ossido-riduttivi, precipitativi, di scambio ionico o altro, vincolati alla possibilità di lunghi tempi di contatto acqua-terreno, garantiti dai terreni granulari, specie di quelli a grana minuta come tufiti, lahars, paleosuoli sabbioso-limosi (fig. 2 e 3), non di rado a matrice argillosa. Quest’ultima è presente in particolare nei paleosuoli, frutto dei processi di lateritizzazione per pedogenesi quando questi erano suolo attivi, ossia terreni a contatto con l’atmosfera.
Fig. 2 - Frequente condizione stratigrafica etnea
L’Etna inoltre è un grande serbatoio idrico per due motivi fondamentali: l’alta piovosità dei suoi versanti, specie di quello orientale, che si oppone ai venti umidi di sud-est (scirocco), che determinano il cosiddetto “effetto STAU” (vedasi foto 1), e la grande permeabilità che in genere caratterizza i terreni di copertura, specie quelli presenti alle medie e alte quote del vulcano (2000-3300 m s.l.m.). In tali condizioni si realizza una infiltrazione efficace formidabile, prossima al 100%. Tale realtà determina una ricchissima circolazione idrica sotterranea la cui velocità e vettorialità dipende dall’assetto del substrato impermeabile (acquiclude), a sua volta profondamente condizionato dalla tettonica peculiare del versante orientale dell’Etna, che risente dell’assetto locale e della tettonica regionale (Scarpata Ibleo-Maltese). Il versante orientale, che tende a scivolare verso lo Ionio alla velocità di 3 cm/anno (Ruch, J. at alii, 2010; Carveni et all. 1997) è interessato da faglie distensive che lo sbloccano e realizzano la famosa gradinata di faglie che dal cratere centrale arriva fino a mare e oltre, continuando in mare fino a notevole distanza dalla costa. Le faglie rappresentano elementi di drenaggio idrico preferenziale sotterraneo perché tendono ad innalzare localmente la permeabilità
fig. 3 - Dettagli fig.2
della fascia di disturbo tettonico e perché, trattandosi di faglie dirette contrarie, orientate normalmente NNW-SSE, determinano un assetto geometrico degli strati che favorisce l’accumulo dell’acqua, effetto diga nei confronti delle direttrici idriche che notoriamente tendono ad essere radiali rispetto al corpo centrale del vulcano pertanto, trasversali rispetto alla faglie.
Le faglie sono altresì i canali preferenziali per la risalita di gas dal profondo, in primo luogo la CO2, accompagnata da piccole quantità di SO2 (anid. solforosa), HCl, HF. L’acidità acquisita dalle acque con la dissoluzione di questi gas e fluidi di chiara origine vulcanica, viene tamponata dalla dissoluzione dei minerali che formano le rocce dell’acquifero. Questo concretizza il più significativo processo di mineralizzazione delle acque. Secondariamente, il mescolamento con acqua marina (lungo la pianura costiera di Fiumefreddo e Mascali), e/o con acque saline provenienti dal basamento sedimentario del vulcano e il contributo antropico da attività agricola (nitrati, solfati, cloruri), rappresentano l’altra fonte di mineralizzazione.
La risalita di gas e fluidi endogeni che si dissolvono nelle acque e la struttura geologica del vulcano realizzano una spinta varietà di falde idriche caratterizzate da diverso facies geochimica e diversa grado di mineralizzazione sia verticalmente che orizzontalmente. Le faglie e la relativa fascia di fratturazione rappresentano spesso, oltre che canali di risaluta preferenziale di gas e fluidi, il collegamento tra falde normalmente non comunicanti (acquiferi multi falda) che, miscelandosi generano nuove e imprevedibili facies geochimiche. Questa in sintesi è la ricchezza del vulcano in termini idrogeologici e idrogeochimici.
Per quanto variabile siano le facies geochimiche sono in genere da ricondurre a quella bicarbonato alcalino terrosa a tendenza magnesiaca sintetizzabile in questo modo: HCO3>Cl>SO4 = Na>Mg>Ca; il diagramma di Fig. 5 rende conto della classificazione delle acque secondo il diagramma di Lengelier-Ludwig. Il diagramma triangolare di fig. 6 rende conto della ricchezza di sodio e potassio da attribuire alla mineralizzazione da HCO3, come testimonia il diagramma triangolare degli anioni di fig. 7 e non, come potrebbe sembrare, dall’azione mineralizzante di acque marina. La ricchezza dello ione bicarbonato da ricondurre alla natura vulcanica del sottosuolo e alla sua risalita dai circuiti vulcanici è la condizione che meglio predispone alla mineralizzazione.

Fig. 5 - Diagramma di Langelier-Ludwig acque dell'Etna
(Piano di tutela delle acque di cui al D.lgs 31 del 2/2/2001
Da studi eseguiti dallo scrivente e dal confronto con il quadro idrochimico delle acque minerali in commercio una delle zone più interessanti dal punto di vista idrominerale è il territorio tra i comune di di Acireale e S. Venerina. Qui è stato campionato un numero significativo di pozzi in gran parte destinate all’irriguo ma anche pozzi destinati all’approvvigionamento idropotabile di S. Venerina e di Acireale. Sono stati diagrammati i valori parametrici delle acque per effettuare un confronto sinottico con i valori guida delle acque
Fig. 6 - Facies cationica delle acque dell'Etna
(Piano di tutela delle acque di cui al D.lgs 31 del 2/2/2001)


delle acque destinate al consumo umano secondo il D.P.R. 236/88 (adesso d. l.gs 31 del 2/2/2002). Nello stesso diagramma sono stati proiettati i valori di delle maggiori (in termini commerciali) acque minerali italiane. Si è constatato che i valori delle acque locali si avvicinassero ai valori guida delle acque del D.P.R. 236/88 più di quanto normalmente si avvicinassero quelle delle acque in commercio. Un’indagine tra la popolazione fruitrice della acque ha verificato che le acque dell’acquedotto venivano considerate organoletticamernte apprezzatissime (acque definite localmente saporite e “spizzusi”). Tale realtà si concretizza non per un eccesso di mineralizzazione da metalli alcalini (nocivi entro oltre certi limiti alla salute) e carbonati (acque oligo e mediominerali mediamente dure), ma con una relativa ridotta mineralizzazione. Il sapore alle acque viene conferito dalla notevole quantità di CO2 
disciolta, proveniente dal profondo, veicolata da faglie locali importanti, le più attive dell’apparato vulcanico
Fig. 7 - La facies anionica delle acque
etneo (faglie dei terremoti di Linera, S.Venerina, S. G. Bosco). È il tipico acquifero multifalda in cui le falde tendono a miscelarsi tra loro per l’esistenza di discontinuità tettoniche che le mettono in comunicazione idraulica, cui si associa la miscelazione ingenerata dagli stessi pozzi che interessano più falde.
Punti di debolezza del sistema idrogeologico etneo sono costitutivi da un pronunciato abbassamento della falda nell’ultimo cinquantennio, sull’ordine dei 70 m (Ferrara at alii, 1993), e la progressiva incrementazione dei parametri chimici a causa dell’approfondimento dei pozzi che tendono a seguire, appunto, l’abbassamento della falda e quindi a pescare da falde più profonde e mineralizzate. Contribuisce altresì il ridotto potere diluente nei confronti dei processi d’insalinamento lungo la fascia costiera e dei processi di mineralizzazione indotti da percolati da attività antropica, come i nitrati, i fosfati e i sali potassici utilizzati nell’agricoltura.

Fig- 8 - IL sistema delle faglie del basso versante
orientale dell'Etna
In sintesi, quantità notevoli d’acque sotterranee dotate di ottima qualità (per la loro mineralizzazione non inquinata da contributi di attività antropiche) e varietà geochimica, nell’ambito di territori relativamente poco estesi, trovano un generale apprezzamento nei fruitori che ha riscontro nel rispetto dei limiti parametri imposti dalla normativa di riferimento e in un sapore particolare, “vivo”, conferito dalla presenza di CO2 disciolta, accompagnata da una mineralizzazione generalmente non eccessiva che rende le acque del versante orientale dell’Etna (ma in genere dell’intero territorio vulcanico) adatte ad un consumo intenso. Ai fini della completezza d’informazione vengono omesse valutazioni circa i problemi emergenti da tempo legati al Vanadio, presente oltre i limiti della normativa nelle acque della zona di Bronte (da poco tale limite è stato innalzato dal ministero dell’ambiente perché ritenuto possibile a seguito di studi dell’Istituto di Igiene di Catania)
Volendo sintetizzare il contenuto del presente articolo, per le acque del versante orientale dell’Etna è possibile concludere:

• Ottima qualità e spiccata varietà geochimica delle acque
• Ottima capacità di difendersi spontaneamente dall’inquinamento organico
• Pericolosi segnali di eccessivo sfruttamento della falda
• Pericolosi segnali d’inquinamento da nitrati


Giuseppe Filetti

 Bibliografia

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Acocella, V., Behncke, B., Neri, M., D’Amico, S., (2003). Link between large-scale flank slip and 2002–2003 eruption at Mt. Etna (Italy). Geophysical Research Letters 30 (24), 2286.

Azzaro R. (2004) Seismicity and active tectonics in the Etna region: constraints for a seismotectonic model. In Bonaccorso A:, Calvari S., Coltelli M., Del Negro C., Falsaperla S., “Mt. Etna: Volcano _oscatello”. Am Geoph. Union, Geophysical Monografy, 143: 205-220

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Calmiero (1975) Le precipitazioni in Sicilia nel cinquantennio 1921-1970. C.N.R.I. – IRPI Cosenza

Carveni P, Filetti G., Bella D. (1997) - Aspetti geomorfologici e sismologici connessi a fenomeni di tettonica gravitativa nel basso versante orientale dell'Etna - Geogr. Fis. e Dinam. Quatern. (20) (1977) 43-49 4 figg.

Ferrara V. (1975) Idrogeologia del versante orientale dell’Etna – Atti 3° convegno _oscatello_ale sulle acque sotterranee , Palermo, 91-144

Ferrara V. (1993) Modificazioni indotte dallo sfruttamento delle falde sotterranee sull’equilibrio idrodinamico e idrochimico dell’acquifero vulcanico etneo – Memorie _oscate Geol. Italiana 47 (1991), 619-630, 8 ff.

Ferrara V., Pappalardo G. La carta idrogeologica del massiccio vulcanico dell’etna come utile strumento per la gestione razionale delle risorse idriche sotterranee

Ferreli L., Azzaro R.; Bella D. Filetti G., Michetti A.M., Santagati F., Serva L, Vittori E. (2000) Analisi paleo sismologiche ed evoluzione della fogliazione superificiale lungo la Timpa di _oscatello, M. Etna (Sicilia. Boll. Soc. Geol. It 119, 251-265

Filetti Giuseppe, (1984) Idrogeologia del versante sud-orientale dell’Etna – Tesi sperimentali di laurea

Filetti G. & Bella D.  (1995) - Gaetano Platania: un geologo "d'altri tempi" - Considerazioni sul movimento franoso del versante orientale dell'Etna -  Logos (a. II, n. 3, Luglio-Settembre 1995)
Lentini F., Carbone S., Catalano S., Grasso, M. (1996). Elementi per la ricostruzione del quadro strutturale della Sicilia orientale. Mem. Soc. Geol. It., 51, 179-195.

Lo Giudice, E., Rasà, R., (1992). Very shallow earthquakes and brittle deformation in active volcanic areas: the Etnean region as example. Tectonophys., 202, 257-268.

Ruch, J., Avocella V., Stroti F., Neri M., Pepe S., Solaro G., and Sansosti E. (2010,) Dethachement depth revealed by rollover deformation: an integrated approach at Mount Etna, Geophys. Res. Lett., 37, L 16304, doi: 10. 1029/2010GLO44131


martedì 8 marzo 2011

I fatti epocali del nord Africa e i miei pregiudizi di Giuseppe Filetti


Foto tratta da umsoi.org
 Penso e ripenso con stupore a quello che sta succedendo e potrà succedere nella nazione araba e in Iran. Confesso che avevo notevoli pregiudizi sulla loro capacità e possibilità di ribaltare, anche con il coraggio di mettere in gioco la propria vita, regimi consolidati da decenni. Credevo altresì che i nuovi mezzi di comunicazione non avessero la capacità di produrre sensibilizzazione autentica e coinvolgimento di massa. Ossia di andare aldilà della retorica sulla reale potenzialità della capacità di sensibilizzazione di massa dei nuovi mezzi, internet e i social network in primo luogo. Invece ecco quello che non mi sarei mai aspettato, specialmente in Tunisia e in Libia. Ero stato in Tunisia nel 1990, avevo conosciuto una società conformista, ammirata della società occidentale, appiattita su miti fatti di consumismo più che di libertà. Ipocrita sostanzialmente, non disposta ad alzare la voce sia nei singoli individui che come società. Non credevo onestamente che avesse la voglia e la capacità di ribellarsi e ribaltare un regime. Pregiudizi, lo ammetto con onestà anche se sono contento perché gli accadimenti epocali dimostrano che:

• la storia dell'umanità è viva, niente è scontato e ogni epoca ha un suo potenziale rivoluzionario
• le sicurezze economiche di una classe sociale seppur ridotte ma importanti nel loro contesto non sono sufficienti ad acquietare gli individui. Parlo dei militari che in tutti i casi si sono schierati con la popolazione: quale potrebbe essere il motivo visto che si tratta di un corpo i cui componenti percepiscono uno stipendio a fronte dell'assenza di reddito minimo di vasti strati della popolazione che invece potrebbe avere proprio questo come motore della ribellione
• il rischio di morire è più forte rispetto al bisogno di emancipazione umana
• la religione non è il motore della ribellione come lo fu in Iran nel 1979
• l'integralismo arabo non è probabilmente un dato univoco quasi da carattere peculiare, antropologico, di queste popolazioni e che la povertà non determina automaticamente il controllo dell'opinione collettiva tramite i religiosi e la religione, come successe in Iran e succede in Libano ad opera degli Hezbollah, partito d'ispirazione religiosa che costituisce ed è riconosciuto da settori importanti della società libanese come stato nello stato, che assiste e accudisce appunto la popolazione sostituendosi allo stato; è finanziata infatti dall'Iran che ha tutto l'interesse all'affermazione della cultura e della politica integraliste.

foto tratta da blitzquotidiano.it

Ho la coscienza che alcune mie affermazioni siano deboli e smentibili dalla veloce evoluzione del contesto e del divenire dei fatti. Ho l'impressione comunque che gli arabi del nord africa abbiano sperimentato che le rivoluzioni d'ispirazione religiosa come quella iraniana e talebana in Afganistan non abbiano prodotto il benessere e la condizione di vita che tutti si attendevano. Dunque vedranno, per lo meno lo spero, con scetticismo il riproporsi di evoluzioni analoghe del quadro politico della propria nazione a seguito dei fatti traumatici di questi mesi.

Infine vorrei fare alcune considerazioni sulla potenzialità che i fatti hanno dimostrato circa il quadro politico italiano. Anche qui ero scettico sulla possibilità che la protesta di piazza potesse avere effetti concreti sulla destabilizzazione di un regime come quello che viviamo nell'era berlusconiana. Ho adesso, con i fatti di cui tratto, la fondata speranza che l'opinione collettiva e le sue tangibili manifestazioni abbiano più potere di quanto immaginiamo. Pertanto che ben vengano scioperi e manifestazioni di piazza, perché se non hanno immediato effetto come in nord africa, hanno sicuramente la capacità di evitare l'acquiescenza psicologica e la tranquillità di chi governa.

Giuseppe Filetti

domenica 13 febbraio 2011

Amo la Timpa e non la ruspa di Giuseppe Filetti

Da bambino abitavo in un paese che la coscienza d'adulto mi ha fatto valutare pressoché equidistante dalle Timpe di Acireale e Acicatena, collocato la dove gli "strani giochi" dell'evoluzione geologica aveva prodotto una semi valle interposta tra le due Timpe.
Lo spazio aperto, verso cui poteva infinitamente spaziare lo sguardo, si apriva a sud, e verso sud volgevo spesso i momenti intensi del mio essere.
Un'escrescenza morfologica ricoperta da cespugli e da alcuni alberi d'alto fusto e una torre in mattoni rossi, sono l'incancellabile ricordo di quelle fughe verso l'infinito, prima che lo sguardo si perdesse oltre l'orizzonte marino che verso oriente si dipartiva per me dalle pendici della collina di Acitrezza.
Alcuni anni fa mi ritrovai senza un preciso motivo nell'alveo del torrente Platani e con l'impasto di curiosità scientifica e ricerca d'emozioni (spesso non riesco a scindere le due cose) cercai prima le "orme" sul basalto levigato degli affioramenti lavici del greto (erano le infantili orme di diavoli e divinità) poi seguì il corso di un flusso lavico protostorico che aveva chiuso la sua avanzata proprio in quell'area. Risalendo verso il culmine del flusso lavico mi resi conto d'aver individuato l'escrescenza morfologica con cespugli ed alberi d'alto fusto che s'interponeva tra me l'infinito: ebbi la chiara percezione che quei luoghi e quella cresta in particolare erano una parte importante dei miei riferimenti culturali ed emozionali dello spazio. Punti e luoghi cardine della mia percezione spaziale attraverso cui inconsciamente avevo trovato da bambino e da ragazzo il migliore rapporto con i luoghi. Non erano e non sono solo elementi fisici del territorio, ma la vecchia torre in mattoni rossi, l'alveo del torrente con le sue orme e l'escrescenza lavica con alberi e cespugli di vegetazione spontanea mediterranea costituivano - era chiaro in quel momento - riferimenti spaziali precisi e fonte delle mie fantasie infantili.

Sono profondamente convinto che l'ambiente debba raccogliere e trasmettere ogni traccia lasciata dagli interventi umani: non c'é segno infatti che non esprima qualche aspetto della società che l'ha prodotto. Ma ciascun segno deve vivere in rapporto e in associazione armonica con l'insieme dei segni che l'hanno preceduto.
Mi resi allora conto che quei riferimenti culturali ed emozionali arano si elementi personali, ma lo erano probabilmente per quanti avevano abitato gli stessi luoghi che avevo abitato io.
Mi fa paura la visione planimetrica, cartografica, del territorio e la ruspa: spesso sono due elementi che tendono ad annullare la terza dimensione.
Ho visto strumenti urbanistici in cui la base topografica ed i particolare le curve di livello erano superflue: si pianificava come se il territorio fosse un'immensa pianura vuota in cui gli unici riferimenti dello spazio fossero i corpi celesti. Ma io che ho imparato ad amare la Timpa, il giardino di limoni, l'anfiteatro lavico con i suoi casolari tra il nuovo Consorzio Agrario e via Loreto, le escrescenze laviche del "Cervo", quelle della "Gazzena" (già, "la Gazzena"!), sormontate dai resti della macchia mediterranea, come posso amare la ruspa? Cioè quell'attrezzo che annulla i dislivelli e fornisce il senso di onnipotenza a chi non sa cos'é il senso di orientamento (anche fisico) nello spazio e l'oggetto produttore di emozioni e fantasie personali e collettive. Quando avremo nel nostro tessuto urbano e al suo contorno (vasto contorno) cancellato ogni traccia dei nostri riferimenti culturali (guardate che non basta il centro storico e la sua protezione) cos'é che ci dovrebbe poi legare a questi luoghi?
Speculazione filosofica? Astrattismo? Utopia?: punti di vista!! Ma ho la netta percezione di come, nei fatti, ci consideriamo gli ultimi abitanti e pianificatori di questi luoghi.

Giuseppe Filetti
(questo articolo è stato pubblicato il 3 maggio 1992 nel giornale la "Voce dello Jonio")

martedì 26 ottobre 2010

Terra Madre 2010

In una momento della nostra storia in cui prevale la tendenza ad uno scoramento esistenziale, la filosofia di Slow Food e le sue manifestazioni Terra Madre e il Salone del Gusto rappresentano bagliori di speranza che fanno bene all’anima. E la mia anima ha riposato nel sentire e vedere i volti di esseri umani che tentano con gioia e naturale orgoglio di non farsi omologare dalla forza del  capitalismo più protervo che vorrebbe poche multinazionali in accordo con gli stati potenti del mondo (Cina e USA in testa) a controllare le terre e le risorse del mondo: schiavizzare, ma in modo moderno, terre ed essere umani.

Terra Madre e Il Salone del Gusto (con l’organizzazione che sta dietro) sono il grande consorzio degli ultimi del mondo, di coloro che vorrebbero mantenere i saperi, tramandarli da generazione in generazione, la produzione alimentare locale, la dignità della propria storia fatta di verbalità e usanze locali che danno senso al mondo.  
E il “senso del mondo” lo si può percepire quando vedi con un colpo d’occhio tutta l’antropologia della terra riunita in un luogo di pochi metri quadri. Quando vedi l’orgoglio di esporre il prodotto della propria terra, che sia una stoffa, un cibo o un vestito
Giuseppe Filetti