domenica 13 febbraio 2011

Amo la Timpa e non la ruspa di Giuseppe Filetti

Da bambino abitavo in un paese che la coscienza d'adulto mi ha fatto valutare pressoché equidistante dalle Timpe di Acireale e Acicatena, collocato la dove gli "strani giochi" dell'evoluzione geologica aveva prodotto una semi valle interposta tra le due Timpe.
Lo spazio aperto, verso cui poteva infinitamente spaziare lo sguardo, si apriva a sud, e verso sud volgevo spesso i momenti intensi del mio essere.
Un'escrescenza morfologica ricoperta da cespugli e da alcuni alberi d'alto fusto e una torre in mattoni rossi, sono l'incancellabile ricordo di quelle fughe verso l'infinito, prima che lo sguardo si perdesse oltre l'orizzonte marino che verso oriente si dipartiva per me dalle pendici della collina di Acitrezza.
Alcuni anni fa mi ritrovai senza un preciso motivo nell'alveo del torrente Platani e con l'impasto di curiosità scientifica e ricerca d'emozioni (spesso non riesco a scindere le due cose) cercai prima le "orme" sul basalto levigato degli affioramenti lavici del greto (erano le infantili orme di diavoli e divinità) poi seguì il corso di un flusso lavico protostorico che aveva chiuso la sua avanzata proprio in quell'area. Risalendo verso il culmine del flusso lavico mi resi conto d'aver individuato l'escrescenza morfologica con cespugli ed alberi d'alto fusto che s'interponeva tra me l'infinito: ebbi la chiara percezione che quei luoghi e quella cresta in particolare erano una parte importante dei miei riferimenti culturali ed emozionali dello spazio. Punti e luoghi cardine della mia percezione spaziale attraverso cui inconsciamente avevo trovato da bambino e da ragazzo il migliore rapporto con i luoghi. Non erano e non sono solo elementi fisici del territorio, ma la vecchia torre in mattoni rossi, l'alveo del torrente con le sue orme e l'escrescenza lavica con alberi e cespugli di vegetazione spontanea mediterranea costituivano - era chiaro in quel momento - riferimenti spaziali precisi e fonte delle mie fantasie infantili.

Sono profondamente convinto che l'ambiente debba raccogliere e trasmettere ogni traccia lasciata dagli interventi umani: non c'é segno infatti che non esprima qualche aspetto della società che l'ha prodotto. Ma ciascun segno deve vivere in rapporto e in associazione armonica con l'insieme dei segni che l'hanno preceduto.
Mi resi allora conto che quei riferimenti culturali ed emozionali arano si elementi personali, ma lo erano probabilmente per quanti avevano abitato gli stessi luoghi che avevo abitato io.
Mi fa paura la visione planimetrica, cartografica, del territorio e la ruspa: spesso sono due elementi che tendono ad annullare la terza dimensione.
Ho visto strumenti urbanistici in cui la base topografica ed i particolare le curve di livello erano superflue: si pianificava come se il territorio fosse un'immensa pianura vuota in cui gli unici riferimenti dello spazio fossero i corpi celesti. Ma io che ho imparato ad amare la Timpa, il giardino di limoni, l'anfiteatro lavico con i suoi casolari tra il nuovo Consorzio Agrario e via Loreto, le escrescenze laviche del "Cervo", quelle della "Gazzena" (già, "la Gazzena"!), sormontate dai resti della macchia mediterranea, come posso amare la ruspa? Cioè quell'attrezzo che annulla i dislivelli e fornisce il senso di onnipotenza a chi non sa cos'é il senso di orientamento (anche fisico) nello spazio e l'oggetto produttore di emozioni e fantasie personali e collettive. Quando avremo nel nostro tessuto urbano e al suo contorno (vasto contorno) cancellato ogni traccia dei nostri riferimenti culturali (guardate che non basta il centro storico e la sua protezione) cos'é che ci dovrebbe poi legare a questi luoghi?
Speculazione filosofica? Astrattismo? Utopia?: punti di vista!! Ma ho la netta percezione di come, nei fatti, ci consideriamo gli ultimi abitanti e pianificatori di questi luoghi.

Giuseppe Filetti
(questo articolo è stato pubblicato il 3 maggio 1992 nel giornale la "Voce dello Jonio")